venerdì 3 aprile 2015

Il lieto fine della routine

La prima volta che ho guardato Colazione da Tiffany avevo tredici anni. 
Mia madre lo guardava così lo guardai anche io. Ricordo che pensai che Holly fosse una donna fortunata perché era bellissima e aveva proprio il gatto che avevo sempre desiderato. Ma lei non sembrava così felice, nonostante i vestiti e le feste e gli uomini e New York.
Poi a diciotto anni ebbi anche io la fortuna di avere per casa un bel micio rosso. E per i successivi tredici anni ho abitato con lui e con i miei genitori. Così ho capito. 
E' bello come alcuni film o libri ci facciano ridere o piangere sempre nello stesso identico punto. Li conosciamo alla perfezione e non possono sorprenderci, già sappiamo cosa sta per accadere, eppure ci fanno ridere e piangere ugualmente come se fosse la prima volta.
Ammetto di guardare Colazione da Tiffany ogni volta che sono triste. Mi fa stare meglio. E' quella bella sensazione che dà la routine. Non ci trovo niente di negativo nella routine in quanto tale. Se ci sono cose che ci rendono felici sono convinta che andrebbero ripetute. Per esempio, se penso a una storia d'amore che finisce non penso mai che sia colpa della routine, quanto piuttosto alla perdita di quella routine bella e che rendeva felici entrambi.  
Colazione da Tiffany è una di quelle certezze che ogni tanto vanno ricordate. E' fatto apposta per sperare. Sperare che se ne vadano le paturnie, che prima o poi qualcuno ti costringa a guardare la verità sul tuo conto e che tu ce la farai. E' una verità che non ti piace e sa di gatto bagnato. Ma te la prenderai in braccio, la stringerai a te e la guarderai. Così da vicino che non ti farà più paura. 
Peccato che il romanzo di Truman Capote finisca in tutt'altro modo. Certo il lieto fine è molto da film. E a me piacciono le storie che finiscono bene ma capisco anche il punto di vista di Capote. Forse quando scrivi un libro vuoi scrivere come sono andate le cose nella realtà, vuoi che sappia il più possibile come la vita e non vuoi dare nessuna falsa speranza.
La speranza però è una qualità così dannatamente umana.
La parte di Annie Hall che preferisco, per esempio, è quando Alvy scrive una commedia a lieto fine sulla sua storia con Annie. Non è una parte molto comica, non è decisamente la parte migliore del film, ma a me piace perché è vero che come esseri umani vogliamo far andar bene le cose. E io voglio far andar bene me stessa.

Nessun commento:

Posta un commento